2 APRILE 2020
L’IMPOSTA PATRIMONIALE “UNA TANTUM”
In piena emergenza COVID-19 si inizia a parlare di riaperture e di rilancio dell’economia.
Da più parti ci si chiede quale sia lo strumento più adatto e veloce per aiutare le casse statali a far fronte alla crisi.
Tra i tanti strumenti che si possono descrivere (eurobond, coronabond, tassa piatta, revisione delle aliquote, revisione delle detrazioni ecc.) ne ho scelto uno che è già stato utilizzato in passato: l’imposta patrimoniale straordinaria, c.d. patrimoniale una tantum.
Si tratta di una imposta da introdurre velocemente (dal giorno alla notte, ad esempio) e che va a colpire un determinato patrimonio.
Senza entrare nel merito delle opportunità e delle scelte politiche, da tecnico, mi preme descrivere brevemente cos’è e come funziona questa tipologia di imposta.
È impossibile in un articolo di questo tipo studiare tutte le possibili forme e implicazioni, che necessiterebbero di un’ampia trattazione anche piuttosto tecnica ed articolata; posso però fare alcune considerazioni utili a capirne il funzionamento.
- Cosa vuol dire “imposta patrimoniale”?
(Si può chiamare anche semplicemente “patrimoniale”) è un tributo che appartiene alla categoria delle cosiddette imposte dirette, cioè quelle correlate direttamente alla ricchezza del soggetto.
Un’imposta si definisce “patrimoniale” quando viene calcolata sul possesso di un patrimonio.
Per patrimonio si intendono gli immobili, i conti correnti, gli investimenti finanziari ecc.
Questa imposta, quindi, si differenzia da quelle calcolate sul reddito (tipo l’IRPEF, L’IRES, ecc.) o sui consumi tipo (l’IVA, accise ecc.).
In Italia esistono già molte imposte patrimoniali, ad esempio: l’IMU, la TASI, il bollo auto, l’imposta di bollo sulle attività finanziarie, l’imposta di registro, le tasse sulle successioni e donazioni ecc.
- Per quale motivo si può pensare di introdurre un’imposta patrimoniale una tantum, quindi una volta sola e molto velocemente?
L’idea di fondo è che, dato che la ricchezza reale e finanziaria degli italiani è altissima, utilizzare questa ricchezza potrebbe aiutare in tempi brevi le casse pubbliche.
Il problema italiano infatti non è mai stata la ricchezza patrimoniale ma, piuttosto, la scarsa produttività.
Un’imposta con queste caratteristiche è quella che fu introdotta dal governo Amato, nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1992 con un decreto che colpì i conti correnti del 6 per mille, e l’ISI (imposta straordinaria immobiliare) con un’aliquota del 3 per mille.
- Quali sono i problemi di questo tipo di tassazione?
In Italia circa il 60% della ricchezza è rappresentato da attività reali (immobili, aziende non quotate) il cui valore crollerebbe se i loro possessori fossero obbligati a vendere questi beni in tempi brevi per pagare l’imposta.
Infatti le abitazioni, le micro imprese familiari ed il risparmio in generale non sono rapidamente vendibili sul mercato.
Un altro problema è che un’imposta di grandi dimensioni e con le caratteristiche descritte potrebbe innescare ingenti fughe di capitali all’estero.
Un modo per ovviare al problema potrebbe essere quello di introdurre l’imposta velocemente ed in “segreto” e/o quello di tassare la ricchezza ad una data passata: con evidenti problemi di ordine etico e di equità sociale.
- La patrimoniale è un’imposta sui ricchi?
Più o meno.
Per sua natura il patrimonio è per la quasi totalità già stato sottoposto ad imposizione e spesso rappresenta il risparmio accantonato per il futuro da famiglie ed imprese.
È però abbastanza ovvio che un soggetto che ha un patrimonio elevato è (o dovrebbe essere) più benestante di qualcuno che ha un patrimonio modesto.
Prima di dare giudizi di carattere etico o morale, bisognerebbe calare queste considerazioni nell’ordinamento giuridico e tributario di ogni singolo Paese e nel momento storico.
La nostra costituzione impone che il sistema fiscale italiano debba avere i caratteri della progressività e della capacità contributiva; in altre parole, chi ha di più deve contribuire di più.
L’imposta patrimoniale è solo uno degli strumenti per raggiungere questa progressività e la redistribuzione della ricchezza; bisogna quindi guardare il quadro più ampio, prendendo in considerazione tutto il sistema fiscale.
In altre parole, come al solito, le fazioni e le tifoserie in campo fiscale non servono a nulla: bisogna guardare i numeri, l’equità sociale e la costituzione.